L’immunizzazione è universalmente considerata un intervento di salute pubblica costo-efficace, tuttavia il rapporto tra il beneficio prodotto e i costi relativi, e quindi l’interesse a promuoverne l’impiego diffuso, varia in base a diversi fattori, tra cui l’epidemiologia della malattia, la sua gravità e l’allarme che un’epidemia in corso suscita nella popolazione; inoltre, la convenienza a investire nell’immunizzazione è maggiore nei paesi in cui si spende di più per curare quelle malattie che sono prevenibili coi vaccini.
Le valutazioni di beneficio/costo hanno un impatto crescente nelle attuali politiche sanitarie, che devono fare i conti con l’imperativo etico di garantire un livello ottimale di assistenza riducendo la spesa sugli interventi dal costo elevato e dai benefici limitati.
D’altra parte, l’ambito di ricerca dei vaccini presenta un alto grado di rischio sia per le aziende impegnate nello sviluppo sia per chi deve finanziare questo tipo di studi.
Il percorso che va dalla scoperta all’autorizzazione di un nuovo vaccino richiede infatti tempi lunghi e investimenti ingenti e va incontro ad alti tassi di fallimento.
Secondo alcune stime, su 10 candidati che iniziano lo sviluppo clinico solo uno raggiunge il traguardo dell’approvazione, e i tempi e i costi per l’intero processo si aggirano rispettivamente intorno ai 10-15 anni e al miliardo di dollari.
Di qui la necessità di conciliare le politiche di immunizzazione con profitti equi per l’industria e sostenibili per i budget pubblici. Un tema affrontato in un editoriale (“Immunization Policy and the Importance of Sustainable Vaccine Pricing“) pubblicato su JAMA da H.C. Meissner, della Tufts University School of Medicine di Boston.